Sostenibilità è un termine caldo, presente sulla bocca di tutti, ma che vive ancora nel cuore di pochi.
Federico Quaranta ci invita a riflettere a fondo su questa tematica, proponendoci una versione alternativa e più profonda, umana, etica, capace di non vivere solo di apparenza e qualche hashtag, ma di penetrare a pieno la vita delle persone.
Queste sono le sue riflessioni:
“Sostenibilità.” Una parola che viene ripetuta continuamente, non c’è chiacchiera da bar, discorso, articolo, cartellone pubblicitario, programma televisivo, radiofonico che non la usi. Un termine chiave, assolutamente di tendenza. Se lo precediamo con il simbolo #, diventa un «trend topic». Noi italiani siamo campioni nell’eleggere a status anche le parole e ad abusarne senza pudore, nonostante un vocabolario ricchissimo di sinonimi. Spari sostenibilità qua e là senza un vero motivo, un po’ per darti un tono, o perché sai benissimo che attualmente se non parli di questo tema sei… fuori!
Ma di cosa si tratta realmente? Solitamente parliamo di sostenibilità collegando esclusivamente il suo significato all’ambiente, volendo con questo sottolineare la necessità di dare un’impronta ecologica più leggera al nostro Paese. Ma può una parola così importante, troppe volte usata a sproposito, essere riferibile solo a una questione ambientale? La sostenibilità ai nostri giorni non può non evolversi e arricchirsi di significato, varcare i confini degli elementi naturali quali aria, acqua e terra, contenere e accogliere concetti come quello di etica e questioni fondamentali come il lavoro e la società. È una parola che dovrebbe essere inclusiva, solidificarsi culturalmente ed evocare un immaginario anche morale e umano. Per comprenderla meglio come dicevo, ci viene incontro lo sterminato patrimonio del vocabolario italiano.
E se provassimo a sostituire il termine «sostenibilità» con un suo sinonimo, apparentemente più comprensibile quale «rispetto», tutto apparirebbe più chiaro e limpido, anche più semplice (e semplice non significa facile). Il verbo «rispettare» ha un’interessante etimologia: spectare, guardare, re, indietro. Cosa vuol dire? Che il rispetto è ciò che ci porta a conoscere, a osservare ciò da cui le cose e le persone provengono, a conoscerne la storia. È un’azione che prevede un moto prima di tutto della nostra sensibilità. Così, solo «rispettando» è possibile «sostenere» qualcosa o qualcuno, perché quella «sostenibilità» proviene da una conoscenza che abbiamo fatto.
Essere quindi rispettosi verso la natura, la terra, le regole, le istituzioni, verso le individualità, i pensieri altrui, la morale, l’umanità, non è per nulla facile. È forse uno sforzo addirittura insormontabile per chi preferisce adeguarsi pigramente alle «tendenze», anche a quelle che assumono certe parole, che però in questo modo non fanno che svuotare di significato la nostra esistenza.